sabato 2 febbraio 2013

INTERVISTA A JULIE PLEC DI EW: LE DONNE CHE COMANDANO IN TV


Ecco l’intervista completa di EW alla produttrice esecutiva Julie Plec, definita come una delle donne che comandano in tv. Julie racconta la sua storia professionale ora che si è affermata come produttrice di uno show amatissimo come The Vampire Diaries, a partire dai suoi primi passi a Los Angeles e l’incontro con Kevin Williamson.
Le donne che comandano in tv: Q&A con il produttore esecutivo di The Vampire Diaries Julie Plec
Nel nuovo numero di Entertainment Weekly in uscita venerdì, parliamo con le donne che stanno dietro le serie che amiamo e fra queste c’è anche il produttore esecutivo di TVD Julie Plec, che dà vita a una storia titanica di amore – e solitudine – fra vampiri con colpi di scena che ci fanno sobbalzare, andare in estasi e singhiozzare. Qui la Plec, 40 anni, ci racconta come è passata dall’essere una fan della tv a dirigerla, dove trae ispirazione, chi è la sua arma segreta, cosa stavano facendo lei e Kevin Williamson quando “si incontrarono e si innamorarono” e quando hanno deciso come alla fine terminerà TVD.
ENTERTAINMENT WEEKLY: Quando ti sei trasferita per la prima volta a LA, cosa avevi intenzione di fare?
JULIE PLEC: Mi sento sempre in imbarazzo quando lo dico, perché lo trovo terribilmente superficiale. Mi piacerebbe poter dire “Oh, avendo letto Shakespeare, volevo solo essere una romanziera”. No. Volevo lavorare a Hollywood. Ne ero rapita. Leggo Premiere, Moviline e Us da prima che fosse un settimanale. Leggo Tiger Beat e Bop da quando avevo 9, 10, 11 anni. Ho amato i film. Ho visto ET sette volte. Urlavo contro le persone che mi chiamavano mentre andava in onda LA LAW perché avrebbero dovuto saperlo. Quindi amo tantissimo il business di Hollywood da quando ho memoria. E ho detto “Bene, ci andrò. Faro qualcosa”. E la cosa divertente è che mi stavo specializzando in cinema alla Northwestern e poi ho lasciato quel corso di studi a metà perché ho pensato “Bene, non voglio fare la regista e non so scrivere, mentre i produttori si occupano solo di soldi, quindi non so che diavolo farò”. Ho finito col fare una specializzazione interdisciplinare in cui ho fatto un sacco di teatro, di comunicazione e alcuni film. Ho imparato di più chi fossi e come essere una grande lavoratrice, una grande lavoratrice artistica, facendo teatro. Sono stata direttore di palcoscenico, assistente di direttore di palcoscenico, parte della troupe. Ho fatto probabilmente 25 spettacoli alla Northwestern, tutti musical ovviamente. [Ride.]
Il tuo primo lavoro è stato come seconda assistente dell’agente Susan Smith.
Un mentore mio amico mi ha dato un consiglio: ha detto “Quando vai lì fuori e fai un colloquio per un lavoro, non importa quello che tu voglia fare, di’ che vuoi fare quello che loro vogliono”. Così ho fatto il mio colloquio e lei mi ha detto “Cosa vuoi fare nella tua vita?”. E io ho risposto, con grande sicurezza, “Voglio fare l’agente”. Dopo tre mesi, mi è stato offerto un altro lavoro e l’ho lasciata. Ed è stata così carina con me. Mi sentivo così in colpa, ma ti dico, rimane ancora il migliore suggerimento che mi sia mai stato dato. Dico sempre due cose alle persone quando arrivano a Hollywood e do consigli: 1, ridico il consiglio che mi è stato detto; 2, se avete un’opportunità di lavorare per un’agenzia all’inizio della vostra carriera, è la cosa più intelligente che possiate fare perché è l’unico posto in cui poter avere accesso a tutte le informazioni del mondo e non puoi impararle in nessun altro modo.
Sei stata contattata dalla tua amica Lisa Harrison, che era stata promossa alla Wes Craven e doveva trovare una sostituta. (Harrison più tardi è diventata l’agente della Plec.) Questo è come tu e Kevin Williamson vi siete conosciuti. Ma come avete legato?
Scream è stata la primissima cosa che lui abbia mai scritto che sia stata poi fatta e io ero a Hollywood da meno di due anni. Eravamo entrambi bambini in un negozio di caramelle. Quindi è stato questo, insieme al fatto che l’ultimo mese del film era stato tutto di riprese, quindi c’era un sacco di lavoro, il che significava che non dovessi fare nulla. Il mio lavoro era sedermi lì e assicurarmi che Wes fosse felice, ma Wes di solito è felice sempre e quindi non aveva realmente bisogno di me. [Ride.] E così Kevin e io ci sedevamo nella sua auto a noleggio e accendevamo il riscaldamento perché era freddissimo, trovavamo una stazione radio di vecchie canzoni, inevitabilmente country, e cantavamo le canzoni di Kenny Rogers insieme. E poi ci cantavamo a vicenda i musical di Broadway. E questo doveva accadere. E poi una sera lui mi ha detto “Ehi, sto scrivendo questo pilot. Sarebbe fantastico se gli dessi un’occhiata. È sulla mia vita, sull’essere cresciuto nel North Carolina in una piccola baia”. Quindi la nostra relazione creativa è nata si può dire in quell’auto, su quel set.
Quando lui è divenuto “superfamoso”, mi ha chiesto se avrei lavorato con lui come partner esecutivo e produttivo. E l’ho fatto. Uno dei miei primi lavori è stato assistere alla seconda stagione di Dawson’s Creek perché Kevin stava dirigendo il suo primo film [Teaching Mrs. Tingle]. Voleva che andassi lì e mi assicurassi che tutto quello che accadeva fosse nello spirito di ciò che lui avrebbe fatto, perché conoscevo la sua visione perfettamente. E mi sono innamorata follemente di Dawson’s Creek e praticamente ho trascorso buona parte dell’anno sullo show, e quando Kevin finì il suo film, lavorai con lui. E fui in grado di presentare Kevin al mio amico di college Greg Berlanti, proprio prima dell’inizio della stagione, così Kevin assunse Greg come uno degli autori dello show. Così noi tre eravamo un trio fuori di testa, stressato, esausto e fortemente disfunzionale che se la cavò alla meno peggio nel corso della seconda stagione di Dawson’s Creek. Non scrivevo all’epoca, ma aiutavo. Aiutavo a delineare le scene, perché eravamo sempre così indietro e indaffarati. Quello è stato il mio assaggio di scrittura. E non ho mai pensato di essere un’autrice, mai. Ero sempre quella che aiutava gli autori. Io ero la musa, quella che aveva l’energia di sedersi con loro fino alle quattro di notte e aiutarli a ripartire con una storia. Pensavo che quello sarebbe sempre stato il mio lavoro, cioè il produttore. E poi una lunga serie di cambi tra quel momento e Kyle XY [della ABC Family], ma fondamentalmente producevo io quello show e avevamo perso la nostra unica autrice donna, Liz Tigelaar, che era stata, comico davvero, stagista alla post-produzione durante la seconda stagione di Dawson’s Creek e mandava i tagli a casa mia alle 10 di sera. David Himelfarb, che era il produttore esecutivo di Kyle XY, mi guadò e disse “Credo che tu conosca lo show perfettamente, perché non scrivi un copione?”. Ed è stato facilissimo. Me ne hanno chiesto un altro, e poi ancora un altro.


Quando hai capito che saresti stata in campo televisivo e non cinematografico?
C’è stato un momento, di nuovo prima di sapere di essere un’autrice, in cui presi il mio primo registratore. Vedevo religiosamente Buffy, Angel, Once and Again, Ally McBeal, The Practice e The West Wing e capii che non vedevo un film da tipo sei mesi, mentre ogni singola sera vedevo uno, due, alle volte tre serie che erano cariche di emozioni ogni settimana. E se c’è un episodio brutto del nostro show preferito, sappiamo che il prossimo sarà probabilmente di nuovo fantastico. Quindi ho avuto questa sorta di epifania come fan e come persona che ama raccontare storie alla gente, che davvero la televisione era il luogo in cui avrei dovuto lavorare. La colpa è di David E. Kelley e Joss Whedon. [Ride.]
C’è mai stato un momento in cui hai quasi mollato?
Per una che è stata così benedetta, nutrita e coccolata come me dalle persone intorno, ho avuto un momento di sbandamento. Festeggiavo i miei 30 anni con Greg – siamo nati a due giorni di distanza – e c’era una grande festa visto che lui stava per iniziare a fare sia Dawson’s Creek sia Everwood. Io avevo appena scoperto quella settimana di essermi fatta nemica una persona davvero importante che aveva chiaramente detto che non ero la benvenuta a lavorare con loro, vicino a loro, intorno a loro. E questa persona era abbastanza importante da spaventarmi e questo mi face indietreggiare personalmente, emotivamente e professionalmente per un buon paio d’anni. Non dovevo lavorare tanto su questa persona perché in ultima analisi non importava, ma lavorai molto su me stessa perché mi ero sentita come se non potessi fidarmi di me stessa. Quando tutto si risolse, ne è risultata una preziosa lezione professionale, ma ci sono voluti anni per ricostruire la sicurezza personale e per sentirmi a mio agio con la mia personalità, la mia etica di lavoro, la mia passione, la mia creatività e con chi io ero.
Se avessi la macchina del tempo, cosa faresti diversamente?
Ho maturato un’autoconsapevolezza patologica nel corso di 17 anni in questo settore, quindi raramente mi sorprende ricevere una critica, una cattiva notizia e un appunto. Di solito ho pensato attentamente ogni singolo scenario. Ma all’inizio della mia carriera ero meno consapevole e non pensavo davvero alle conseguenze di quello che dicevo, di come lo dicevo, a chi lo dicevo. Nella mia testa agivo spinta da passione ed entusiasmo. Ma in fin dei conti, era solo impolitico e un po’ naif. Quindi mentre nessuno dovrebbe avere tattiche troppo elaborate, perché questo toglierebbe la spontaneità e sincerità, c’è un confine che dovresti imparare da giovane [Ride] perché potrebbe darti un calcio nel sedere bello forte se non sei almeno consapevole che tale confine esiste.
Da dove prendi l’ispirazione oggi?
Mi ispiro ai libri e dalle serie televisive degli altri. Leggo molto. In vacanza cerco di leggere almeno uno o due libri al giorno perché quando leggi le opere degli altri ti svegli e dai una scossa al tuo cervello. Il tuo cervello si può atrofizzare quando sei l’unico a venir fuori con le idee o a parlare. Per questa è una cosa importante, riempire costantemente la mia mente con opere di altri. E poi l’altra cosa è che sono una persona che ama molto stare con la gente. Adoro uscire, bere vino e cenare e chiacchierare per cinque ore. Ascoltando le storie degli altri e cercando di capire perché fanno quello che fanno e dicono quello che dicono, mi aiuta poi a dar forma ai personaggi che scrivo.
Scrivi le idee in un quaderno?
È tutto nella mi testa. Lo chiamo diario di insonnia. Quando ho serie difficoltà nell’addormentarmi, cosa che accade spesso se sono stressata per una scadenza o una questione personale, scrivo il diario di insonnia e penso “Oh Dio, ricordo quell’idea che ho avuto cinque anni fa. Mi chiedo cosa potrei fare di quella storia?”. E il solo atto di cercare di iniziare e delineare una storia nuova di solito mi fa addormentare subito. [Ride] Perciò non si traduce mai in qualcosa di brillante, ma è davvero utile per dormire.
A chi ti rivolgi quando sei creativamente bloccata?
Ho quella che chiamo le mie Cosmo Girls, alias Liz Tigelaar and Marguerite MacIntyre, che interpreta lo sceriffo Forbes in TVD e che era anche in Kyle XY e che è un’eccezionale autrice. Lei è la nostra arma segreta. Liz e io, ognuna alle prese con l’inizio della propria nuova storia o semplicemente alle prese con frustrazioni per la trama o creative, ne parliamo insieme e poi con Marguerite, e inevitabilmente Marguerite sarà quella che verrà fuori con la soluzione. [Ride] Riuscirebbe a rendere un essere umano la musa della scrittura. La cosa che preferivo fare quando Liz stava lavorando a Merlose Place era mandar giù le sue idee a cena. Perché ero così emozionata da poter pensare a qualcos’altro oltre ai copioni di TVD con cui eravamo davvero indietro in quel momento.
Chi pensi sia la donna più in gamba che fa tv in questo momento?
Nessun dubbio, Shonda Rhimes. Ho adorato Grey’s Anatomy sin dall’inizio, ma Scandal mi sta facendo impazzire. È una delle storie più intense. Penso che i suoi show siano impeccabilmente fatti. La produzione è eccelsa. Amo la cinematografia di Scandal, la musica. E lei non ha paura della velocità, che spaventa molte persone che dicono “Oh, le persone parlano troppo velocemente”. LO AMO. Amo l’energia di questo show, è scoppiettante. Sono tutte decisioni che prende e impone lei. È senza dubbio un’ispirazione, sicuramente. Sebbene l’obiettivo nella mia vita è cercare di far sì che lei mi segua su Twitter. Non mi segue e questo mi rende molto triste e insicura sempre [Ride].
Prima della seconda stagione di The Vampire Diaries, tu, Kevin e io avevamo parlato della velocità del vostro show. Ogni episodio sembra un episodio importante. Qual è il vostro segreto?
Cerchiamo di suddividere una stagione in una serie di capitoli, quindi quattro volte in un anno, fondamentalmente, hai un finale di stagione e quattro volte in un anno hai una premiere. Poi c’è sempre qualcosa di davvero grande che fa avanzare la storia, e se qualcuno non ama qualcosa, c’è una buona probabilità che la lasceremo di lì a un mese. Quindi questo fa sì che il pubblico faccia domande, fa sì che la storia stessa sia rivitalizzata e fa sì che sia infinitamente più facile ripartire con una stagione se non guardi a una enorme, scoraggiante montagna di 22 episodi. Guardi un serie di piccole montagne.
Userete un episodio di TVD di aprile come backdoor pilot per uno spin-off sugli Originali. Avete un piano generale per TVD, quante stagioni durerà e come finirà?
Kevin e io, già nella stagione 2 in realtà, seduti in un centro commerciale di Atlanta e bevendo Diet Coke, non rispettando una scadenza e scrivendo in un’area pubblica perché c’era internet, ce ne siamo usciti con quella che ci sembra sarà la fine della serie. Credo che la questione in una serie come TVD sia davvero come termini il viaggio di Damon, Elena e Stefan. Sappiamo come vogliamo concludere il percorso di Elena sia per quanto riguarda il suo personaggio sia per quanto riguarda la sua relazione con i due fratelli, e come vogliamo che il rapporto fra i due fratelli finisca. Quindi questo potrebbe accadere al sesto anno, se [gli attori] decidessero di essere pronti per andare avanti, o al decimo anno, chi lo può dire.
La CW ha appena ordinato anche un pilot dello show che stai sviluppando con Greg, un adattamento della serie sci-fi degli anni Settanta The Tomorrow People. Come è accaduto?
Entrambi lo vedevamo su Nickelodeon quando eravamo piccoli perché lo mandavano in onda proprio prima di You Can’t Do That on Television. [Ride] E non potrei mai trovare qualcun altro che ne abbia addirittura sentito solo parlare, tranne Greg, quindi eravamo spiriti gemelli sin dall’inizio. Lui mi chiama e dice “Ricordi quello show di cui parlavamo sempre e di come nessun altro che conoscessimo lo avesse mai visto, ma che dicevamo sempre di volerlo rendere una serie televisiva?”, e io dici di sì. E lui aggiunge “Ho appena avuto i diritti e adesso tu sei uno dei produttori”. E io dico “Bene, questo è il lavoro più facile che abbia mai avuto nella mia vita, quindi grazie mille”. È fantastico. È stato così occupato negli ultimi sette, otto anni e io sono stata così impegnata negli ultimi sette, otto anni che non avevamo avuto la possibilità di fare quello che facevamo prima: sedere davanti a del buon cibo cinese e parlare di storie. È stato davvero divertente aver potuto giocare con lui ancora un po’ di nuovo.
fonte TVD Italia



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